Il castello visse forse il periodo più turbolento della sua storia durante gli anni della Guerra della lega di Cambrai, che infiammò la terraferma veneta nei primi anni del XVI secolo. Venezia, contrapposta inizialmente al Papa, agli imperiali di Massimiliano I e ai Francesi, vide per proprie città e campagne invase e occupate. Anche Soave fu al centro di battaglie e continui rovesciamenti di fronti. Nel 1516, terminato il conflitto, il Doge volle premiare i soavesi protagonisti di una continua lotta partigiana contro gli occupanti, consegnando loro il vessillo di San Marco da issare sull’antenna, un pennone di nave posto nella piazza principale del paese. Il borgo aveva pagato un importante tributo di sangue, essendo stati uccisi 366 soavesi a fil di spada dal nemico e con il dono delle autorità venete si sottolineò la fedeltà dei “marcheschi” alla causa patria.

Anche Porta Vicentina, come le altre porte, è aperta alla base di una torre, e come le altre, è protetta da un rivellino a camera doppia e da cortine merlate di difesa. All’origine era munita di saracinesca, battenti e ponte levatoio.

La porta dà sul suggestivo Borgo Covergnino, probabile storpiatura del termine “coventino”, con riferimento al piccolo convento, oggi scomparso, dei frati francescani della vicina Chiesa millenaria di San Giorgio.

Sui pilastri esterni, si può intravvedere, anche se scalpellato, lo stemma scaligero.

Unica delle tre antiche porte a presentarsi nelle sue dimensioni autentiche, ha visto, negli anni ’90, il restauro della sua torre. Da anni si auspica il restauro del ponte levatoio, mentre è già stato sistemato il camminamento dalla Porta fino alla Chiesa dei Padri Domenicani, che si congiunge alla salita che porta al Castello.

In una posizione preminente, nel borgo Bassano sorge nell’XI secolo una cappella che viene consacrata nel 1098.
In quello stesso periodo la chiesa diventa soggetta prima ai Benedettini del monastero dei santi Nazaro e Celso di Verona e poi agli Olivetani di Santa Giustina di Padova; alla caduta della Repubblica veneta (1797), la giurisdizione della chiesa passa al Vescovo di Verona.
Nel 1836, dopo l’epidemia di colera che in meno di due mesi falciò 135 soavesi, come ringraziamento per l’intercessione perorata, si decise di riedificare la vecchia chiesa. La ricostruzione fu affidata all’ingegnere Antonio Zanella. Il 9 aprile 1837 sono abbattuti i resti dell’antica chiesa, cancellando così il retaggio di ottocento anni di storia.
L’attuale stile dorico, voluto da Zanella, è ben distante dall’architettura originaria.
La facciata è di fronte ad una piazza con panorama sulla bassa Val Tramigna.
La leggenda la lega ad un’apparizione della Madonna nella vicina Valle Ponsara. Secondo la tradizione, la statua della Vergine trovata sul luogo dell’apparizione fu poi trasportata nell’attuale collocazione con festoso concorso di popolo. All’interno vi sono strutture decorative e dipinti pregevoli; nel soffitto assai apprezzato l’affresco dell’Assunta del pittore soavese Adolfo Mattielli.

Il castello di Soave è chiamato “scaligero” anche se la sua erezione risale a prima del dominio della Scala, che comunque lo rese un importante avamposto militare nell’est Veronese. Alla famiglia scaligera si associano i nomi di Cangrande I, che, secondo leggende, avrebbe ospitato Dante Alighieri al castello, durante l’esilio veronese. Un altro nome legato al potente casato è quello del cugino di Cangrande, Federico della Scala, Conte di Valpolicella, la cui moglie, Imperarisia di Antiochia.

Durante gli anni del secondo conflitto mondiale, Soave fu al centro di movimenti della Resistenza e sede di presidi, durante il biennio 1943-1945. In quegli anni, si registrano anche episodi cruenti, il più celebre forse quello accaduto l’8 dicembre 1944, quando le milizie nere fasciste fucilano i due partiani soavesi Ardineo Ceoloni e Matteo Benetton, Danton e Perseo. Furono uccisi a fianco di Porta Verona e una lapide ancora oggi testimonia il triste fatto di sangue.

Nato a Soave nel 1883 da modesta famiglia di mugnai, Adolfo Mattielli già fin dai primi anni di scuola manifestò una spiccata vocazione per la pittura. Frequentò la Scuola d’Arte e Mestieri di Verona e più tardi si iscrisse all’Accademia Cignaroli.

Mentre frequentava l’Accademia, s’ingegnava a casa a copiare dal vero. A Soave conobbe il pittore veneziano Guglielmo Talamini che lo invitò a perfezionarsi presso il suo studio di Venezia, dove rimase per un anno. Tornato a Soave, poco prima della nascita di Umberto di Savoia, Mattielli inviò un suo dipinto, raffigurante un putto addormentato, al re Vittorio Emanuele III, con l’augurio che il nascituro fosse un maschio. Il sovrano apprezzò molto il dipinto e accompagnò gli elogi con l’invio della somma di duecento lire. Cominciarono le committenze e la sua fama andò via via crescendo. Partecipò più volte alla Biennale di Venezia e molti suoi lavori vennero acquistati dal comune di Verona e di Venezia.

Nel 1914 realizzò uno studio tutto suo, ai piedi del Castello Scaligero, quella chiesetta gotica, che ancor oggi si incontra salendo al castello da piazza dell’Antenna. Scoppiata la Grande Guerra fu inviato a Lecco e lì, dove risiedeva il suo reggimento, organizzò una mostra personale che ricevette grande apprezzamenti: il comune acquistò una sua opera e a Milano fu scelto come membro della commissione aggiudicatrice dell’assegnazione del “Premio Principe Umberto”. Seguono altri riconoscimenti al suo valore di pittore: diviene membro della Giuria per l’accettazione delle opere all’Accademia di Brera, alla Permanente e in altri circoli artistici della città. In quel periodo per un caffè di Soave (adiacente all’attuale “Bar Mattielli”, in via Roma) esegue un grande pannello: “Baccanale”.

In quegli anni realizza opere di grande interesse a Verona, Venezia e Pisa, qui per incarico dell’allora rettore della Scuola Magistrale Superiore Giovanni Gentile. Nel 1924 si dedica definitivamente all’arte sacra; di quest’epoca gli affreschi della Parrocchiale di Soave e della chiesa di San Daniele di Lonigo.

Lungo è l’elenco dei dipinti sacri di Mattielli, a Soave già nel 1910 i quadri sulla Vergine miracolosa e in seguito l’affresco dell’Assunta al santuario della Bassanella, ma poi a Breganze, San Luca e Borgo Milano a Verona, Treviso, Trento, Udine, Ferrara, Roma, La Spezia.

Tra il 1925 e il 1960 Mattielli affrescò più di 50 chiese. Più che i grandi templi amava le piccole pievi nelle montagne trentine o nelle pianure venete.

Nel 1960 è a Soave dove torna a raffigurare bimbi, fanciulle, vecchi e l’amata vendemmia che è splendidamente rappresentata su grandi tele, due delle quali presso Villa Giavarina a Soave e una presso la Galleria d’Arte Moderna di Verona.

Colpito da paralisi, morì il 13 dicembre 1966. L’anno successivo il Comune di Soave gli dedicò una via dov’era la sua dimora; lì ancora oggi si legge una targa dettata dal poeta Fragiocondo: IN QUESTA DIMORA ADOLFO MATTIELLI RITRAEVA NELLE TELE LA POESIA DI SUA TERRA E DI SUA GENTE.

Presso la chiesa di Santa Maria dei Domenicani è presente lo stemma della famiglia Pompei, presso un altare, detto del crocifisso. I Pompei diventarono feudatari di Illasi, paese vicino, anch’esso con un importante castello, al termine della Guerra della lega di Cambrai, per premiare il coraggio e le gesta di Girolamo I detto il Malanchino. Girolamo, già castellano di Soave durante il conflitto, su rese protagonista di eroiche azioni contro il nemico. Liberó il castello soavese dal nemico con un assalto dei suoi balestrieri a cavallo, giunti dalla Valle dei Finetti, dove la famiglia possedeva già diritti.

A un altro membro del casato, Girolamo II, si associa una triste storia, con al centro un omicidio, di cui la moglie fu ingiustamente accusata per proteggere l’onore delle famiglia. Nel 1592, a Illasi, è trovato ucciso il capo delle guardie del castello, Gregorio Griffo. Parte una inchiesta, di cui non possediamo le carte riguardanti l’epilogo, in cui Ginevra Serego Alighieri, lontana discendente di Dante, si auto accusa dell’omicidio. Secondo le fonti, Ginevra era stata da Gregorio ingannata: il servitore l’avrebbe ingannata, mentre il marito era assente, affinché il governatore di Verona, Orsini, potesse giacere con lei. Per punire il gesto, Ginevra avrebbe accoltellato Gregorio in uno scatto d’ira.

In realtà, sembrerebbe che Ginevra e Gregorio vivessero una tresca amorosa, poi scoperta. Per difendere l’onore ferito del conte, Gregorio avrebbe pagato con la vita, mentre Ginevra ricattata con il sequestro della figlia, affinché testimoniasse il falso riguardo quanto era accaduto, in modo di sollevare il conte.

Di Ginevra non sappiamo più nulla. Una leggenda ci informa che sia stata murata poi viva, dal momento che furono ritrovati dei resti umani in una intercapedine di un muro, durante alcuni lavori nell’Ottocento.

Il paese di Soave si lega al nome di importanti uomini di cultura e scrittori: quello di Dante, secondo una leggenda che lo vedrebbe ospite al castello, ma soprattutto, tra gli altri, quelli di Berto Barbarani che in paese sfolló durante gli anni della seconda guerra mondiale e di Ippolito Nievo. Di quest’ultimo esiste una statua presso Piazza del mercato dei Grani, un tempo in parte sede dell’antico ghetto ebraico. È ritratto fanciullo, mentre gioca, in quanto a Soave passó l’infanzia dal 1832 al 1837. Il padre lavorava presso il locale tribunale.